Documentazione d'archivio sui balli comunitari


Anni '20 - Balli a Villasor (suonatore Peppino Cabras)


In questo articolo posterò la trascrizione dell'intervento del Dott. Carlo Pillai, già direttore dell'Archivio di Stato di Cagliari, relativo ad un convegno dal titolo "Prima arrexonada - Su Ballu campidanesu", organizzato dall'Associazione culturale Fedora Putzu di Selargius il 15 giugno 2013, riguardante i balli tradizionali di area campidanese.

L'Archivio di Stato di Cagliari possiede una enorme quantità di informazioni che si ritrovano in diversi documenti, quali lasciti testamentari e donazioni, cause civili e cause penali; soprattutto in queste ultime due si possono trovare notizie storiche relative al ballo comunitario poichè, spesso, durante i balli accadevano litigi che in alcuni casi sfociavano in risse con feriti e addirittura omicidi.

In questa trascrizione delle parole del Dottor Carlo Pillai, troveremo alcuni esempi di questi documenti, che ci rivelano come era la società dell'epoca, come ci si doveva comportare nel ballo, chi si opponeva ai balli comunitari ect ect... Buona lettura!


1925 - Ballo ad Allai


 Intervento del dott. Carlo Pillai:

"Oggi possiamo dire di conoscere abbastanza del ballo sardo, in particolare del ballo sardo campidanese. Le fonti sono diverse e diversificate; possiamo contare prima di tutto sulla tradizione orale, poi sulla letteratura sull'argomento. Cioè, le diverse persone, in particolare viaggiatori forestieri nell'isola, che hanno scritto del ballo sardo, e infine possiamo contare sulla documentazione degli archivi. Come vedete sono fonti molto diversificate. La tradizione orale è un po’ in crisi, diciamo che il suo momento d'oro l'abbiamo tra la fine dell'ottocento e i primi del 900, per intenderci, quando Grazia Deledda scrisse le sue meravigliose tradizioni popolari di Nuoro, allora era un tempo in cui si poteva ancora raccogliere, ancora fare una ricerca sul campo molto proficuo.

 Da quel periodo, molti decenni sono passati, molti di noi stanziali se ne sono andati, e quindi questa fonte si è andata indebolendo sempre di più. L'altra fonte è quella dei viaggiatori forestieri, di chi ha osservato il Ballo Sardo: è una fonte molto interessante, però abbastanza parziale, una fonte esterna. 

La fonte interna è quella archivistica, che ci dà una visione del ballo sardo visto  dall'interno, così come nasceva. Ed è dalla documentazione archivistica che veniamo a conoscere tutto l'aspetto organizzativo dei balli, e quindi questa fonte ci dice che questi balli in gran parte venivano organizzati dalla gioventù, come dicevano i piemontesi, come troviamo scritto nella documentazione di età sabauda, dalla “giovanaglia”; ecco perché in quel periodo  (ma anche prima in età spagnola), i balli venivano organizzati dai giovani in quelle che venivano chiamate “Is festas de sa tzerachia”, che “tzeracu” ora vuol dire garzone, ma in  quel periodo voleva dire semplicemente giovanotto, ed erano i giovani non sposati che si davano una organizzazione, eleggevano tra di loro i capi obbligati, che erano quelli che rappresentavano la gioventù e loro provvedevano all’arruolamento, diciamo così, del suonatore di launeddas attraverso un contratto, che potrebbe essere una scrittura privata o addirittura un contratto notarile. Questi documenti li abbiamo ancora, ci rivelano un mondo tutto il movimento tutto particolare e del resto rientra nella organizzazione della comunità dei villaggi di allora, che era una società molto strutturata, organizzata con regole ferree che noi oggi neanche immaginiamo più. Ecco, basti dire che di notte le persone non potevano circolare.: suonavano le campane del ritiro, i barracelli “custodivano” il villaggio e multavano chiunque trovassero per strada a zonzo. Non è che non si potesse uscire di notte, ma si poteva uscire soltanto per motivi legittimi, per gravi motivi, e bisognava avvisare il barraccellato.

In queste “feste de sa tzerachìa” si danno tutta una serie di notizie sulle quotazioni, sui pagamenti e sugli obblighi del suonatore di launeddas, e sulle occasioni nelle quali i suonatori intervenivano. E non soltanto per i balli che venivano organizzati dai giovani, ma anche per altre occorrenze, per esempio certe processioni; il contratto era annuale e il compenso avveniva mediante la consegna di una certa quantità di grano, oppure anche in danaro.

Ante 1850, Raffaele Aruj: "Ballo in fila con suonatore di launeddas" (Collezione "Luigi Piloni", Biblioteca Universitaria di Cagliari)


Questa documentazione non ci dà soltanto l'aspetto esteriore, organizzativo dei balli ma ci fa penetrare anche nel mondo dei balli stessi. Intanto, tutta una serie di argomenti a margine molto interessanti saltano fuori: per esempio la questione delle armi: le autorità proibivano di andare armati ai balli. Abbiamo dei pregoni viceregi (simili a decreti) fin dal 1726, un altro importante documento del 1768, e un altro ancora dove persino i nobili (questo nel pregone del Vicerè Lascaris nel 1779) non potevano recarsi armati ai balli.

“Sa pratza de is ballus” che c’era in ogni paese, veniva sorvegliata dal barracellato e chiunque consegnava queste armi, che poi venivano restituite quando il ballo finiva. Anche quando si ballava nei loggiati delle case: nelle case più grandi i capi obbligati de sa tzerachia erano incaricati di raccogliere le armi. Le armi in quelle occasioni si risolvevano nei bastoni, perché tutti quanti andavano in giro con il bastone appresso. Questi capi obbligati de sa Tzerachìa raccoglievano le armi o i bastoni e glieli consegnavano alla fine del ballo e provvedevano a raccogliere anche una piccola offerta che serviva per pagare l'illuminazione, cioè l'olio che veniva acceso, un “arriali”, un cagliarese (una moneta), la moneta più piccola che c'era nel Regno di Sardegna.

Poi c'è l'altro aspetto disciplinare molto importante che è legato alla Chiesa cattolica, e in particolare ai riti religiosi. I rapporti sono stati sempre ambigui tra il ballo sardo e la Chiesa cattolica, che all'inizio ebbe un atteggiamento molto rigoristico, dato dalla volontà di proibire il ballo sardo. Monsignor De Sobrecasas (siamo alla fine del Seicento), arcivescovo di Cagliari, lo voleva proibire, poi lui stesso confessò che non potè raggiungere i propri obiettivi perché neanche i maggiorenti gli davano retta, così come i gradini sociali più bassi della popolazione, e quindi dalla intera popolazione.

La Chiesa riuscì soltanto molto parzialmente a temperare alcune abitudini, per esempio l'abitudine di ballare dentro le chiese. Questo intento riuscì, non si ballò più dentro le chiese, ma si ballò fuori dalle chiese, nel piazzale di chiesa, in quello che veniva chiamato “Su ballu de cresia” o "Su ballu 'e missa", che era il ballo che veniva la domenica all'uscita dalla messa cantata, ed ecco il motivo per cui si chiamava così.

la Chiesa riuscì anche a imporre un altro divieto: di ballare “pendente il tempo dei divini Uffizi”, ovverossia i balli erano proibiti nel mentre che c'era la spiegazione del catechismo, oppure nel mentre che si svolgevano le liturgie cattoliche determinate, per esempio le 40 ore o altre cerimonie previste. Anche in quei frangenti c'era una sorveglianza. E c'erano parecchie violazioni per la verità, perché il ballo era molto seguito dai giovani e questi ballavano persino quando si celebravano i riti della religione cattolica, tanto che noi vediamo dalla documentazione d'archivio tutte le lamentele dei parroci, dei vescovi eccetera, fino ad arrivare a una curiosa proposta del 1761 del clero sardo che, rivolto ai Viceré, suggerì un rimedio: L’arcivescovo di Cagliari  (arciv. Tommaso Ignazio Maria Natta), in quell'anno suggerì al viceré di far cessare questa abitudine di tenere i balli mentre c'era la celebrazione delle messe con un modo molto semplice: richiamando il barracellato e mandandolo a prelevare il suonatore di launeddas; cioè per interrompere il ballo bisognava interrompere il suono. Il suono era quello delle launeddas, si pigliava suonatore delle launeddas, che veniva incarcerato provvisoriamente e così via. Solo che succedevano un sacco di disguidi perché i ballerini si impadronivano del suonatore di launeddas, non lo mollavano e festeggiavano molte volte i barracelli che si davano alla fuga, e questo è capitato in diversissime occasioni.

Non tanto raramente, ma in diverse occasioni, si arrivò persino a infliggere la scomunica a chi non obbediva agli ordini del clero; ci sono dei casi molto clamorosi. Uno l’ho rintracciato nel 1809 a Serri dove, dopo la celebrazione di un matrimonio tra due giovani del luogo, questi qui rientrarono nelle loro abitazioni, nelle loro case e iniziarono a ballare per tutta la sera senza smettere, e la sera ci doveva essere il catechismo e il prete non aveva uditori, diciamo così.

Mandò il viceparroco a far interrompere questi balli, invece il viceparroco fu mandato via e allora il buon parroco, offeso, combinò la scomunica, la scomunica “latae sententiae”, che era stata prevista da una disposizione dell'arcivescovo di Cagliari (Diego Cadello) del 1799, ma che era rimasta ignorata da tutti. Lui la rispolverò ma al momento nessuno se ne accorse. Però la domenica successiva, prima di celebrare la messa il parroco andò in chiesa, e mando via il clero tramite il vice parroco, ordinandogli che non si poteva celebrare nessun rito religioso perché in chiesa c'erano degli scomunicati, e se ne andarono sia il parroco che il vice parroco. Questo provocò uno sconcerto enorme e il sindaco stesso di Serri prese l'iniziativa di radunare il popolo, con le buone o con le cattive, e dirigersi a casa del parroco, lo acciuffarono quasi facendolo volare, e lo cacciarono via dal paese, con ignominia, accompagnandolo fino ai confini di Escolca, dal paese di Serri. Quindi vedete bene a che cosa poteva dar adito a certe iniziative. Di asino non si parla, quella era la tradizione sarda di accompagnarlo e metterlo in groppa all'asinello, però all'incontrario, di modo che non desse le spalle al paese che abbandonava; una delle tante tradizioni bizantine ereditate dai Sardi, tale tradizione era propria di Costantinopoli, durante il Medioevo, che o vescovi o sacerdoti venissero cacciati in questo preciso modo, messi nell’asino, però all'incontrario, che non dovevano dare le spalle al Paese, era offensivo. 

Prima metà del XX sec. - Balli a San Salvatore di Cabras

Questo sono tutte regole disciplinari che noi ricaviamo da questi documenti, però abbiamo di più dalla documentazione d'archivio, abbiamo addirittura notizie preziose sulle modalità di svolgimento del ballo. Dunque questa fonte archivistica è stata sempre dimenticata, perché secondo un'antica consuetudine le nostre cattedre di antropologia culturale e di storia delle tradizioni popolari sono cattedre che si sono sempre basate sulla ricerca sul campo, molto raramente questi studiosi di tradizioni popolari ricorrevano alla fonte archivistica. L'esempio classico è quello di Francesco Alziator, era frequentatore di biblioteche, ma non di archivi.

Quindi questa fonte archivistica è stata scoperta tardi, erroneamente è stata dimenticata, perché se solo noi riflettiamo all'importanza delle tradizioni popolari in Sardegna, al folklore sardo, necessariamente dobbiamo dedurre che dal punto di vista dei governanti di allora questa materia non potesse essere assolutamente trascurata. E difatti era così: Noi troviamo, ad esempio, tantissime disposizioni relative a come dovevano essere tenute le corse dei cavalli. C'è tutto un insieme di disciplina che i vicerè davano allo svolgimento di queste corse: le cavalle non potevano gareggiare con i cavalli, i puledri non potevano gareggiare con i cavalli, non si potevano portare bastoni, “is matzocas”, ma solo frustini, non si poteva picchiare l'avversario. C'erano regole anche su come i cavalli dovessero essere sistemati. Comunque il commento non è di questa sede e sorvoliamo.

 Anche per quanto riguarda i balli troviamo queste notizie. Non solo per queste disposizioni che ho citato prima: la questione del divieto dei balli, il rapporto coi marchesi (i nobili) eccetera, ma anche il ballo come veniva eseguito, perché i balli avvenivano soprattutto in occasione di feste e quindi con tanto assembramento di persone.

 Quando l'assembramento cresce, allora possono succedere disguidi, possono nascere delle risse. Basta pensare alle nostre feste campestri, dove l'attitudine è sempre quella di ubriacarsi e la finivano a picchiarsi. “A Santa Arega andeus / totu a una cambarada / e in pari ndi torreus / cun sa conca segada”. Cosa vuol dire questo “mutetu”? Vuol dire semplicemente che nell'occasione delle feste campestri, quando sciamavano tutti a casa, e allora una parola tira l'altra, bisticciavano e si bastonavano... “Sa conca segada”, ecco.

Figuriamoci per il ballo, dove tutta una serie di regole dovevano essere osservate. Una questione che riguarda Selargius in particolare, per la festa dell'Assunta, il 15 agosto 1822, nacque una rissa perché un gruppo di giovani vollero introdursi prepotentemente ed improvvisamente in un ballo di sole donne, e questo non rientrava nelle regole consuetudinarie. Non era un tabù, non siamo in Sicilia, quindi non è che qui ballassero gli uomini con uomini le donne con donne, non era così.

Però, ove capitasse che ballassero le sole donne per introdursi dei giovanotti bisognava chiedere un preventivo permesso, bisognava introdursi con i dovuti modi ed educatamente. Siccome questi qui non lo fecero, una di queste ragazze non volle più ballare, fu insultata, intervenne il fratello di questa ragazza, e ne nacque una rissa. (Archivio di Stato di Cagliari, Reale Udienza, Cause criminali, Vol. 70, n. 6: Un gruppo di giovani del luogo, Salvatore Murenu, Michele Orrù, Efisio Porcu, Efisio Meloni, Raffaele Sais, vollero entrare “in quadriglia nel ballo e nelle mani della zitella Greca Saba e non volle cedere la mano, anzi procurò di sortirsene”, al che fu da loro insultata, ne nacque una rissa per l’intervento del fratello Narciso Saba, tanto più che molti dei parenti erano armati di bastoni o coltelli)

Sempre a Selargius, nell'anno 1854, nacque un altro bisticcio perché si vuole escludere qualcuno dal ballo in modo così indiscriminato. E ancora a Selargius nel 1853, altro bisticcio perché una donna si rifiutò di ballare con un ragazzo in un modo troppo brusco. E anche le ragazze, quando desideravano non ballare, dovevano farlo con una certa diplomazia, “Su ballu negau”, come si suol dire. Quindi uno poteva anche offendersi e spesso andava a finire che se una ragazza rifiutava di ballare con uno, poi continuava a non ballare. E questo succedeva non solo nel popolo, succedeva anche nei balli dell'aristocrazia a Cagliari. Anche lì si suggeriva che questi balli di corte del Vicerè, quando una donna si rifiutava, allora consigliavano di non ballare per tutta la sera.

 

Seconda metà del XX sec. - Collinas, balli in piazza

Oppure le stesse modalità del ballo: “Sculai su ballu” era una cosa vietatissima. Quando il ballo è in corso è fatto divieto entrare. A Pimentel successe un fatto del genere. Siamo nel 1802 e ci fu una rivolta contro colui che volle entrare con la sua ragazza nel ballo in questo modo, gli astanti reagirono malamente dicendo “Arropoai arropai, ca non est benìu mancu cun sa filla de sa Marchesa de Pasqua” (la marchesina  di Pasqua probabilmente era una ballerina notevole nell'ambito dell'aristocrazia cagliaritana).

Oppure “Fai croba”, come dicono gli stessi documenti d'archivio, una cosa Offensiva. Cioè quando uno si introduceva nel ballo buttando via il partner di una ragazza. Questo capitò a Quartucciu. Siamo negli anni primi dell'Ottocento. Un grave fatto di sangue dove morì uno dei giovani, fu accoltellato un certo Saturnino Spiga, perché costui volle reagire al fatto che un tizio, mi pare a un certo Pisu, gli fregò la ragazza, e questa era considerata una cosa offensiva. Sempre a Quartucciu, però a metà dell'Ottocento, c'è un'altra notizia curiosa, sempre a proposito dello svolgimento dei balli: un ballerino fu allontanato malamente perché non si adeguava alle modalità del ballo. Ovverosia il ballo campidanese era comunemente ritenuto un ballo lento, tanto è vero che alcuni viaggiatori forestieri parlavano di una certa gravità dei ballerini, tanto che ricordano le danze dei dervisci. Questo scrive il francese Gaston Vuillier e anche l'inglese Smyth, riferiscono questo “a steep gravity of the dancer”, questa gravità dei danzatori, questa lentezza del ballo campidanese. Ebbene, a Quartucciu questo giovane fu mandato via molto bruscamente perché ballava, secondo quanto dissero gli altri, alla marghinesa. Il Marghine è la zona di Macomer, per intenderci. Quindi ballava secondo le usanze del ballo logudorese che loro ritenevano non propria del ballo campidanese, ovverossia ballava a saltelli, quindi un ballo movimentato che non rientrava nelle nostre tradizioni.

Prima metà del 1900 - Fonni, ballo in ambito privato (probabilmente durante un matrimonio)


Erano tutte regole che allora venivano osservate, ma molto dipendeva anche da come il ballo principiava, che poteva essere in diversi modi, a quanto ho potuto vedere, anche a seconda delle richieste dei presenti, e questo avveniva specialmente a Carnevale, quando per esempio c'era scarsità di ragazze, allora si proponeva, si richiedeva, si imponeva “Su Ballu de bogai”, che allora si chiamava “Su ballu de froris”, e consisteva in questo: nella possibilità che veniva concessa di cambiare partner mentre si ballava, uno che non aveva la ragazza con un fiore si presentava nel cerchio dei ballerini e consegnava il fiore a un ragazzo. Il fatto di consegnargli questo fiore voleva dire escluderlo provvisoriamente dal ballo; in pratica prendeva il posto dell'escluso. Era un sistema che, a quanto ho avuto modo di vedere, non era tanto ben visto, specialmente dai proprietari delle case nelle quali si ballava, perché con questo sistema si poteva dar adito a litigi, perché c'erano delle persone che ci prendevano gusto e intervenivano sempre con questo fiore per eliminare degli avversari, delle persone antipatiche ecc… Allora imponevano il sistema inverso “Su ballu de sa cadena”; per quanto ho potuto vedere era il ballo a coppie fisse. Questo “Ballu ‘e sa cadena” per tutta la serata sempre fissi e basta. I sistemi erano più vari e anche abbastanza curiosi. Per esempio in Ogliastra, il ballo veniva inaugurato dal parroco (a Baunei, per esempio), ma questo è un sistema che è abbastanza antico. E figuratevi che io ho trovato parecchi  dati, per esempio di persone: Una persona che aveva fatto una “Impromitentzia”, ossia un voto, per l'anno a venire “di andare a ballare per la festa di Sant'Antioco”. Questa di Sant'Antioco nel Sulcis era nota per questo, perché si andava a ballare lì, con i carri, da fuori, anche centinaia di carri e migliaia di persone. Ecco, il voto era quello di ballare per la festa di Sant'Antioco. Quindi vedete l'importanza che aveva questo fatto, e sicuramente era un fatto centrale, perché ostacolarlo troppo e volerlo negare poteva costituire seri problemi di ordine pubblico.

E qui concludo; nel 1836, in un momento abbastanza tranquillo in cui le autorità ecclesiastiche non ce l'avevano con il ballo, però c'erano le missioni dei gesuiti in quel periodo, i cosiddetti missionari, quando fecero la missione a Settimo San Pietro, questi gesuiti istigarono il parroco del luogo a proibire i balli per la festa di San Giovanni;  questo parroco proibì i balli suscitando malcontento. Mai l'avesse fatto, l'arcivescovo lo venne a sapere. Fece un “liscio e busso” al suo parroco, lo minacciò e lo rimproverò dicendo che non si azzardasse mai più di prendere questi provvedimenti. Prima di prendere ordini del suo ordinario, quindi gli disse che non doveva obbedire ai gesuiti, ma doveva obbedire al suo arcivescovo, e il suo arcivescovo non avrebbe mai fatto proibire i balli, perché questa materia, rientrando nelle questioni di ordine pubblico, era di competenza anche del Viceré. In pratica faceva capire l'arcivescovo di Cagliari che il divieto del ballo poteva comportare proteste anche violente e quindi poteva dar adito a questioni di ordine pubblico in cui la Chiesa veniva messa sul banco degli imputati, quindi lo minacciò di non permettersi di farlo mai più. Quindi il ballo era entrato ormai nelle tradizioni popolari, una cosa comunemente accettata nel tempo.

Vi ringrazio dell'attenzione".


La locandina dell'evento organizzato dall'Ass. Cult. Fedora Putzu di Selargius











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