1890 - Danze Sarde (Oliena)
Si balla sul piazzale davanti alla chiesa. Il costume è pittoresco.
Prima delle funzioni religiose, la gioventù si raccoglie sulla piazzuola. Vengono dagli sbocchi delle vie adiacenti, e si ordinano ai lati: le donne accosciate per terra, in lunghe file disposte parallelamente le prime dietro le altre; — ì giovinetti, dalla parte opposta, ritti, conversano gli uni con gli altri. — I costumi festivi appaiono fieri e svelti nella freschezza dei colori. A poco a poco, i convenuti aumentano di numero. Il ballo pubblico, nei giorni festivi, è per essi ciò che per noi sono le deliziose passeggiate. Vi prende parte tutta la gioventù del luogo. Delle donne, vengono solo le ragazze da marito - e raramente le giovine sposine, che godono ancora la luna di miele. — Così tutte le bellezze del paese vi si schierano innanzi.
Fa uno strano effetto quella uniformità di costumi: le gonne di un color marrone oscuro — le bianche camicie, col petto e le maniche uscenti dal corpetto — formano come una massa armonica nella quale i colori appaiono distribuiti in tante zone sovrapposte le une alle altre. - I visi lieti, giovani, si compiacciono di essere ammirati e le labbra coralline vi fanno intravvedere dentature perfette. — Se non fossero due o tre persone vestite nel nostro costume prosaico, che passeggiano su e giù — se non fosse il brigadiere dei carabinieri che osserva anch’egli il quadro a rispettosa distanza, con le braccia raccolte sul petto, come un Napoleone I — credereste di trovarvi in qualche lontano paese orientale. - Dalla schiera femminile a quella maschile, è un ricambiarsi di sguardi che esprimono un mondo di cose. - Lunga è l’aspettazione : bisogna che tutti i giovani di quel lato del paese siensi raccolti, perchè il ballo incominci. - Frattanto, scorre qua e là un fremito sommesso di risate lievi, un susurrìo indistinto, un ricambio di motti e di saluti.
Sono le donne che incominciano la danza. — Così vuole la prammatica. Donde l’indugio, perchè — come è naturale — nessuna vuol essere la prima. Finalmente, l’accordo è stabilito, — Quattro, cinque insieme si alzano — vengono in mezzo alla piazzetta, si legano sotto braccio e formano un cerchio, e prendono a ballare lentamente dolcemente, con una cadenza lieve molle, in guisa che nessuno muova d posto. — Non suono di strumenti accompagna questa danza seria, composta. — A un certo punto, quattro, cinque giovinotti si fanno innanzi, rompono la catena femminile ed entran essi pure a farne parte. — I giovinotti s’intramezzano con le ragazze. Ognuna di queste ha ora accanto il suo cavaliere. Il circolo a mano a mano si allarga, Altre donne, poi altri giovani si aggiungono. In breve tempo abbraccia tutta la piazzetta — e allora entrano in mezze quattro o cinque, i quali accompagnane col canto lene, monotono, il ballo.
Intanto, la campana annunzia con la sua squilla il cominciare della funzione religiosa. Tre volte, a brevi intervalli, essa gitta per lo spazio l’invito festoso. — Al terzo, quella catena si rompe — le braccia allacciate si sciolgono, il circolo danzante diventa folla, che si spinge nella chiesa.
Quivi il raccoglimento e la preghiera. — Sale il fumo dell’incenso ch’avvolge l’altare con la vecchia e alta croce, coi candelieri dorati. Le fiammelle dei ceri paiono circonfuse da quella nube d’incenso, — luci misteriose che circondano il santuario come un’aureola di stelle. — In quel raccoglimento, voi vedete le belle creature dalle chiome corvine — dagli occhi neri e profondi, inginocchiate — con le mani raccolte sul petto, col capo chino. Giunge al di fuori — dove più nessuno è rimasto — il loro canto nel quale sentite sempre il ritmo grave, monotono — e dove pure spira un’indicibile soavità. — In quel momento, le vie del paesello sono deserte. — Dalla soglia della chiesa, spalancata, si diffonde intorno l’eco dei canti e il profumo dell’incenso.
La chiesa, accogliendo i suoi devoti, li distingue — con l’espediente primitivo di tutte le vecchie e piccole chiese dei villaggi: gli uomini da un lato, le donne dall’altro. — Questi uomini rozzi, forti, son là, in piedi o in ginocchio, col capo eretto — il bel capo bruno quasi sempre ornato da folta barba — il lungo berrettone in mano. — Lo spettacolo primitivo ha qualcosa di solenne.
Eppure, si ha un bel dire — ma è dovuto all’umile chiesetta, se il rustico si sente talvolta tocco il cuore dallo sgomento e dal rimorso: — è pur dovuto alla modesta chiesetta, quel senso di reverenza da cui egli sentasi come compunto. — Voi gli mettete al disopra la legge nella sua maestà, e ai fianchi il carabiniere. Ebbene, che glie ne importa? Egli si riderebbe dell’uno e sfiderebbe l’altro giù per le sue macchie, sulle rive dei fiumi, sulle balze, sui gioghi delle sue montagne. — Una fucilata è tutto quel che può toccargli. Andar sotterra un po’ prima un po’ dopo, per lui è lo stesso, infine!
Ma la chiesetta gli rappresenta una forza terribile e ignota. Egli vi si sente come assorto dal gran mistero dell’ infinito. — C’è un arcano che non sa spiegare, e che pesa sulla sua esistenza. Il di là: ecco il pensiero molesto. — Dopo la fucilata, c’è il buio minaccioso — ci sono le fiamme del purgatorio o quelle dell’inferno. Vero è che egli fa largo assegnamento sulla clemenza del buon Dio. — Se ne posson fare anche di gravi, purché ci si penta... dopo. — Oh, questo sì; a pentirsi c’è sempre tempo. — Lo spirito selvaggio si disfrena, gli odii si maturano, le ribellioni si preparano. — Eppure là dentro, egli diventa debole e mite. Mentre le salmodie muovono dolci dalle labbra della sua donna, egli ascolta come intenerito, come commosso. — E un pensiero che gli attraversa la mente e che non sa definire....
Il ballo continua sino a tarda sera.
— Il sole discende, mandando gli ultimi sprazzi dietro i monti circostanti — monti dalle creste rocciose, coi declivii vestiti dal verde gialliccio dei pascoli o dal verde sbiadito degli ulivi....
(I. Bencivenni).
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