1926 - "I divertimenti dei Sardi", da "La Sardegna e i Sardi" di Valentino Martelli

 I divertimenti dei Sardi 


 i sardi hanno una passione viva per il ballo, per le corse dei cavalli e per le gare poetiche: oltre i fuochi artificiali od i semplici spari di fucile e di banchetti lauti, sono questi i numeri principali delle feste dei villaggi, cui tutti partecipano con entusiasmo contenuto, non già, come ama credere il Bottiglioni (Vita Sarda, pag. 54), gettandosi in braccio al divertimento e al piacere con vero abbandono. 

Difatti lo stesso autore, sette pagine dopo, parlando del ballo, cui i sardi si danno con vero trasporto, dice: "sul volto acceso non si delinea il sorriso, né si manifesta la soddisfazione intima che essi deboli provare, tanto, che, guardandoli, viene fatto di domandarci se veramente si divertono o si stanno compiendo un sacro rito".

È per l'appunto a questa compostezza, anche negli svaghi preferiti, si riferisce il proverbio nuorese “in ballos e in festassi connoschen sas testas”, con cui spesso il Bottiglioni apre il capitolo “feste sacre e profane".


Prima metà del 1900 - Festa di San Salvatore (Cabras)


In generale le feste profane coincidono con le feste religiose del patrono del villaggio o del Santo cui è dedicata qualche chiesetta dei dintorni; e uomini e donne non mancano né alla messa cantata (sa missa mamma), né alla processione cui molti partecipano a cavallo, né a tutti gli altri divertimenti. il ballo sardo si conosce ormai solo nei villaggi e ha conservato il suo stile contegnoso, mentre nelle città la moda, capricciosa e lasciva, folleggia nei circoli, nei teatri ed ormai nei tea room. 


Il vero ballo nazionale è quello detto ballo tondo, che "si fa - dice La Marmora - da persone da ambo i sessi, che tenendosi per la mano, formano un cerchio attorno ai suonatori. Sembra, a prima vista, semplicissimo e facilissimo, ma offre molte difficoltà a chi non l'abbia preso dall'infanzia: i forestieri che credono di potervi prendere parte sono tosto costretti a ritirarsi, se non vogliono far ridere la compagnia a propria spese o guastare il divertimento; perché un solo ballerino, che non osservi la misura o la cadenza, basta sciupare tutto. Le difficoltà consistono non soltanto nel modo di fare il passo, ma anche in quello di eseguire diversi movimenti del corpo e certe scosse delle braccia e delle mani In cadenza dal basso in alto. Niente eguaglia la gravità con cui sardi meridionali fanno questo ballo: si direbbe spesso che non vi prendano gusto alcuno; invece è il contrario, perché in tutti i villaggi del Campidano i giovani si quotano per pagare un suonatore per il ballo della domenica. la maniera di tenersi per mano, ballerini e ballerine è d’importanza tale che una semplice trasgressione delle regole stabilite è stata spesso causa delle contese più sanguinose. le persone coniugate o fidanzate possono mettere palma contro palma ed intrecciare le dita; ma guai all'uomo che così facesse con una ragazza che non fosse disposta a sposare o con la donna ad un altro "! 

Si intende che il ballo tondo si fa, igienicamente e moralmente, all'aperto, sotto gli occhi di tutti (...).


Giuseppe Cominotti e Enrico Gonin: "Ballo del Capo di sopra", tavola per l'Atlante del "Voyage en Sardaigne" 
di Alberto Ferrero della Marmora, seconda edizione (1839, la prima è del 1826)


Tratto da "La Sardegna e i Sardi", di Valentino Martelli, Edizioni Fossataro, 1926, Cagliari.


Martelli Valentino

Nato a Castiglion Fiorentino nel 1870, laureato in fisica a Bologna, si trasferì a Cagliari a fine secolo per insegnare scienze all’Istituto tecnico. Nel 1902 si laureò in scienze a Cagliari e nel 1917, presa la libera docenza in botanica, cominciò ad insegnare presso la facoltà di Scienze. Nel 1920 fu eletto consigliere comunale di Cagliari; entrato in polemica col suo preside fu trasferito a Sassari e poté rientrare a Cagliari solo nel 1929, sospettato di antifascismo, nel 1930 fu trasferito a Fermo. Qui fu riabilitato, nel 1933 si iscrisse al fascio e poco dopo tornò a Cagliari per insegnare all’Università. Scrisse un fortunato Vocabolario Sardo e tradusse da francese le opere di Della Marmora. Morì nel 1946.


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