Francesco Alziator - Note sulla Danza Sarda

Raffaele Arui (Attr.): Il Ballo tondo (Collezione privata)


Tra le manifestazioni più singolari del folklore sardo s'ha da porre innanzi a tutte la danza che - come la battitura dei calzoni in occasione del parto, la cottura sotterranea delle carni, il riscaldamento dei liquidi colle pietre roventi, la produzione del fuoco per rotazione ecc... - ci riporta direttamente agli strati delle più remote civiltà isolane. E poichè ognuno sa quanto grande sia l'importanza che, nelle culture primitive assume la danza, non sarà perciò difficile rendersi conto di quello che per l'etnografo ed il folklorista rappresenti quel settore delle tradizioni popolari della Sardegna. 

A testimoniare dell'antichità della danza in tondo (su ballo tundu) stanno due elementi basiliari: 
1) le launeddas, lo strumento che, su area pari a più che un quarto dell'Isola, accompagna queste danze; 
2) il legame che essa ha con il fuoco. Infatti, al centro del cerchio formato dai ballerini, meno sovente oggi, ma con grande frequenza nel passato, stava il fuoco. 

L'evangelizzazione integrale dell'Isola, avvenuta assai tardi e soprattutto per interessamento di Gregorio Magno, non riuscì a disgiungere mai l'antico legame tra danza e religiosità e anche per i sardi, entrati a far parte della chiesa di Roma, infatti la danza continuò ad essere, pure se solo per tradizione, senza che più essi ne avessero la coscienza, legata agli atti del culto. 

Nella duecentesca chiesa di Zuri, eretta da Anselmo da Como nel cuore dell'Isola, la singolare scultura di uno dei capitelli è viva testimonianza del legame che univa la danza alla Chiesa. Si tratta della più antica documentazione della danza sarda, eseguita, come ancor oggi, da danzatori tenuti l'un l'altro per mano. 
Zuri (Ghilarza), chiesa romanica di San Pietro (1291) - Il capitello raffigurante la scena di ballo (foto Cristiano Cani)

Più che logico che la Chiesa s'opponesse a questo innaturale connubio di sacro e di profano e se ne ha la riprova nelle disposizioni del Sinodo sassarese del 1552, primo ed anche più spregiudicato storico del tardo umanesimo sardo, Sigismondo Arquer, nella "Sardiniae brevis historia et descriptio", ci ha lasciato un passo veramente decisivo a proposito del perdurare delle danze addirittura nell'interno della chiesa: «Cum rustici, (egli scrive al cap. VII), diem festum alicuius santi celebrant, audicta missa in ipsius sancti tempio, tata reliqua die et nocte psaltant in tempio. profana cantant, choreas viri cum foeminis ducunt...». 
Diversi decenni di ritrovamenti archeologici, di studi di storia delle religioni e delle antichità sarde non fanno più apparire tanto eccezionale la "strana danza" dinanzi ad una chiesa alla quale si riferisce il Fuos nella XIII lettera delle sue "Nachriten aus Sardinien". Assai remote, dunque, piuttosto che bizantine, come taluno ritiene, le origini delle danze dinanzi ai templi. 

Nulla di più, per quanto riguarda, quindi, il legame tra le danze e le solennità della Chiesa, legame del quale, d'altronde, son vivente testimonianza i balli che ancor oggi s'intrecciano nei sagrati in occasione delle festività paesane dei santi patroni o nelle maggiori sagre religiose. Rientra anche, a nostro avviso, tra le danze rituali dello strato più antico della cultura sarda, il caratteristico passo dei mamuthones di Mamoiada. 
S'hanno invece da classificare, tra le note danze di corteggiamento e di società di origine medioevale o rinascimentale o moderna, tutti gli altri balli della Sardegna, come ad esempio la bellissima arrosciada di Samugheo, la danza del fazzoletto di Quartu etc... (danze folkloristiche, n.d.r.).

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Mamoiada, i Mamuthones (Foto di Cristiano Cani)

 Accenneremo infine ad una ipotesi prospettata per primo da Giulio Fara secondo la quale deriverebbe dalla Sardegna la caratteristica danza catalana detta la sardana. Senza risalire addirittura ai favolosi Shardani nominati in testi cuneiformi tra il XIV ed il IX secolo a. C., è legittimo pensare a sardana come ad uno dei tanti nomi di danza: monferrina, furlana, pavana e, forse, tarantella, derivati dal luogo d'origine. In sostanza sarebbe avvenuto così: i Catalani avrebbero appreso la danza in Sardegna, e riportandola in patria, l'avrebbero chiamata dall'isola d'origine sardana. Da parte spagnuola (Espasa-Calpe) si tende invece a spiegare sardana da cerretana, femm. di cerretanus.

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Tratto da: 
Franceszo Alziator: "Nuovo Bollettino bibliografico sardo", a cura di Giuseppe della Maria,n. 11, Anno II - Cagliari, Settembre 1956



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