1889 - Charles Edwards: il Ballo tondo a San Vito (da: “La Sardegna e i sardi”)
"La domenica fu a San Vito una giornata di grande animazione.
Capitò che fosse la Pentecoste e io vi fui doppiamente fortunato. Dal balconcino
in ferro della mia stanza sbirciai a destra e a sinistra e vidi i miei amici
dagli occhi scuri in tutto lo splendore del loro atavico abbigliamento. Ragazze
fantastiche andavano di fretta alla fontana col busto di seta rossa finemente
lavorata con guarnizioni d’oro e con biancheria candida come neve, aderente
sull’ampio seno e trattenuta da un doppio fermaglio d’oro di valore non
indifferente! In realtà erano abbigliate a festa dalla vita in su, perché le
loro gambe brune erano nude fino al ginocchio (…).
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1908, San Vito - Festa di Santa Maria, ci si prepara a ballare |
La scena cambiò al pomeriggio e la vita assunse tutto un altro
aspetto… Qui e là, agli angoli dell’edificio, vi erano piccoli venditori
ambulanti di dolciumi, di torte saporite confezionate con farina di ghiande e
miele ed altre cose simili. E il vicario, con la sottana che nell’intercedere
pareva una vela, tronfio come un tacchino, venne a dare la sua tacita
approvazione al sereno divertimento al quale i suoi parrocchiani si accingevano
a dedicarsi.
Io sarei del parere che la danza sarda sia lo svago più tetro
che esista sotto il firmamento, ma probabilmente sbaglio nel ritenere che, per
i sardi, una danza, o qualcosa di simile, si proponga ad avere alcunchè di
divertente. Il ballo tondo si confà alla gente, così come le loro canzoni e le
loro cornamuse e il triste zufolare della launedda, che è un adattamento locale
della zampogna e somiglia allo strumento che suonava il grande Pan. Può anche
darsi che, in una certa misura, il clima spieghi i movimenti lenti della danza.
A Nord, per esempio, si balla per scaldarsi il sangue soltanto, ma in Sardegna
quelli che vengono morsi dalla tarantula ballano con vivacità un valzer mosso,
ma per loro questo movimento è una terapia, certamente più accettabile, come
metodo di cura, dell’alternativa che prevede che il tarantolato venga sepolto
fino al collo da un mucchio di letame.
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Prima metà del 1900: Ballo Tondo in un paese del Sarrabus (San Vito o Villaputzu - Non identificato) |
Le giovani, ancora ornate di gioielli e indumenti di raso, si
unirono al gruppo di ballerini quasi rigidi in attesa delle prime note delle cornamuse.
Allora, uomini e donne formarono un cerchio ne quale c’erano, forse, due punti
di presa. I pifferi stavano al centro del cerchio e, dopo alcuni accordi
preliminari, iniziarono a suonare in un tono monodico non dissimile da una
cerimonia funebre delle Highlands. Intrecciando le dita fra loro, i ballerini
cominciano a muoversi. Il piede sinistro scivolò avanti e indietro quasi stesse
per ballare la mazurca. Il piede destro, poi, passo bruscamente al di sopra di
esso, battendo due o tre volte per terra e il sinistro ripetè il primo
movimento. In questo modo, l’intero cerchio si mosse lentamente verso sinistra".
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Tratto da: Charles Edwards: “Sardinian and the Sardes” R. Bentley and
sons, London 1889;
Charles Edwards: “La Sardegna e i sardi”, traduzione a cura
di Lucio Artizzu. Ilisso, Nuoro 2000.
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